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Come può un’opera d’arte diventare un capolavoro assoluto?
Qual è l’influsso che alcune opere possono esercitare sull’immagine di una civiltà?

Questo grido liberatorio vissuto nell’intimo dell’artista è stato riconosciuto quale simbolo della civiltà moderna occidentale di inizio Novecento. Un semplice stato d’animo, il vissuto personale dell’artista norvegese, viene trasformato in simbolo dell’esistenza umana che va oltre il contesto storico nel quale è stato inserito. Questo rende l’Urlo di Munch il capolavoro che tutti ammiriamo. E la grandezza dell’artista sta nel saperci mostrare cosa ha provato, cosa lo ha toccato, e a ciò subordina tutto il resto. E allora eccolo quell’urlo, quello sguardo allucinato, terrorizzato, vuoto, quella distorsione del volto, reminiscenza di una reperto Maya, una mummia, che impressionò l’artista durante un’esposizione. Un urlo, un modo per guardare dentro di sé. Il volto diventa una sorgente sonora che emana sensazioni universali, un’esplosione di energia psichica che si sviluppa creando uno spazio in tensione dove il cromatismo è in netto contrasto, a rappresentare i contrastanti stati emotivi dell’artista. Il cielo rosso rimanda al sangue della madre vista da Munch bambino durante una crisi di tubercolosi mentre il blu rimanda al lutto vissuto dall’artista. L’andamento ondulato delle linee del cielo quasi un prolungamento del sentire del protagonista, un sentire che comprende non solo l’uomo ma anche la natura. “Ho sentito questo grande grido venire da tutta la natura” affermerà Munch.  Una natura che non dona più alcuna serenità. La società è interpretata come un luogo dove la solitudine resta incomunicabile; sul pontile alcune figure si stanno infatti allontanando dall’artista, sordi al suo grido, un’umanità spiritualmente vuota ed assente. L’individuo, rimasto solo, trasferisce alla natura il proprio senso di perdita, trasfigurandola. La vita stessa è una pista scoscesa, rappresentata dalla fuga prospettica del pontile, impossibile da percorrere, dove l’inquietudine avvolge, assieme all’artista, tutte le cose.

Quale tipo di società ha prodotto questo stato d’animo?

L’arte del Novecento si sviluppa nell’ambito di una società violentemente capitalistica, cinica, conquistatrice. É questa l’epoca di un’industrializzazione frenetica, delirante, una spirale che sfocerà in conflitti sociali dove il mondo borghese fonda le proprie certezze sul materialismo, l’individualismo.
Una società dove vengono negati i principi della libera espressione della persona. Per soccorrere l’individuo, travolto dalla crisi dei valori etici e religiosi, è necessaria la confessione del suo sconforto. Questo il principio sul quale si fonda anche la filosofia di Nietzsche alla ricerca dell’uomo nuovo che vive secondo i principi dell’Espressione. Questa l’insurrezione degli artisti espressionisti che considerano l’arte quale unica via d’uscita al contesto drammatico. Ma Munch è un visionario. Cronologicamente precede la nascita dell’Espressionismo, è quindi un precursore ed anticipa quella pittura di stati d’animo che sarà elemento essenziale dello stile espressionista, una pittura che si presta all’introspezione, che consiste nel cogliere il mondo attraverso la sensibilità individuale, che ci rappresenta uno stato d’animo attraverso la liberazione della forza del colore, la distorsione, l’esagerazione delle forme, l’eliminazione dell’illusionismo prospettico, questi in sintesi i suoi principi estetici, espressi dal critico Worringer nel suo libro “Astrazione ed empatia“.

Quali stati d’animo Munch riflette nelle sue tele?

Munch ci parla di solitudine, angoscia, disperazione, malinconia, paura di vivere. Quel male di vivere che dilaga anche nelle poesie di Montale, quando il poeta afferma “Spesso il male di vivere ho incontrato“, oppure che ritroviamo nella cultura nordica filosofica, quell’angoscia esistenziale alla base del sistema filosofico di Kierkegaard, filosofo danese, o presente nei drammi di Ibsen, norvegese, padre della drammaturgia moderna che mette in scena le contraddizioni della borghesia ottocentesca, la sua morale, il suo ipocrita perbenismo.

Da dove derivano gli stati d’animo di Munch?

Non dipingo mai ciò che vedo ma ciò che ho visto” affermerà l’artista.
Una pittura che nasce dalla memoria. Una memoria carica di ricordi dolorosi, di immagini sempre persecutoriamente presenti nella mente dell’artista che richiedono un libero sfogo creativo per non sentirsi annientato dall’esperienza traumatica. L’arte quale possibilità di elaborare la propria sofferenza mentale che lo ha portato a vivere alla tenera età di soli 5 anni l’esperienza devastante della perdita della madre, della sorella, del padre. Affiorano sulla superficie della tela quei frammenti di vita. Non rimangono chiusi nel cassetto della memoria ma escono, dirompenti, gridano di essere comunicati al mondo. Questa la vera salvezza che permetterà a Munch di lottare contro la follia. Freud ci insegna che nell’inconscio non esiste il tempo. Passato e presente si compenetrano nella mente umana.
Ed il tempo del ricordo in Munch è presente e vivo più che mai, un continuo ritorno che richiede di essere ascoltato ed elaborato attraverso la pittura.

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