Il BNL Media Art Festival di Roma, novità assoluta nel panorama artistico italiano, si è affermato in Italia come il luogo per eccellenza dedicato alle relazioni tra arte e nuove tecnologie a livello internazionale. Un centro di produzione e di ricerca che accoglie artisti, critici ed esperti per creare un dialogo sulla media art ed aggiornarsi sulle recenti ricerche artistiche e teoriche sul rapporto tra arte e tecnologia tra performance sonore, video arte, tecnologia applicata ai beni culturali e all’artigianato, design e arte digitale. Il Festival dà visibilità alle eccellenze nazionali e internazionali del settore, grazie alla call for artists sono chiamati ad esporre sia giovani emergenti sia artisti di fama internazionale. Durante i giorni del Festival, che avrà luogo dal 13 al 17 aprile presso il MAXXI di Roma, il MIBACT, la Palestra dell’innovazione ed il RUFA, Rome University of Fine Arts, performance, concerti, tavole rotonde con i maggiori ospiti internazionali, accompagnano il visitatore nel mondo della media art.
Tra gli artisti partecipanti ARtblobs ha intervistato il video artist Cugeeno Benatti che presenta al Festival il suo ultimo progetto: Home//Oblivion.
Breve Biografia
Nato a Trento nel 1986 si è trasferito a Bologna dove ha conseguito la laurea triennale in Filosofia estetica nel 2010. Si è poi specializzato nel 2013 in Cinema, televisione e produzione multimediale presso l’università di Bologna. Trasferitosi a Berlino ha collaborato con musicisti realizzando video musicali. Nel 2014 ha iniziato un percorso nel campo della video art. Alcuni video musicali sono stati proiettati a Berlino (FLUXBAU RADIO STATION) Milano e Torino (seeyousound festival). Nel 2015 il suo primo lavoro di video art “Memories still exist in the practice of a fading repetition” è stato proiettato al cinema “Ehemaliges stummfilmkino Delphi” di Berlino.
Quando e perché hai scelto il video come medium per esprimerti?
Il video è una forma d’arte e d’espressione che da sempre mi affascina, già a 15 anni passavo intere giornate con gli amici a guardare e riguardare film, cortometraggi, video musicali. Poi durante gli anni ho continuato a coltivare questa passione, a studiare e approfondire le correnti artistiche e cinematografiche, soprattutto durante l’università. In quel periodo era però un interesse più passivo, non sentivo tanto il bisogno di “fare” quanto di “sapere”: prima di guardare qualsiasi cosa mi informavo sull’autore, sul periodo storico in cui era stata realizzata l’opera, sulla corrente artistica e sui messaggi che l’artista voleva trasmettere. L’unica forma d’espressione che usavo a livello attivo e creativo era la scrittura, la vedevo – e tutt’ora la vedo – come il mezzo comunicavo basilare, il più completo ed efficace. Anche oggi il primo passo che faccio quando realizzo un video è scrivere: parto sempre da una sensazione, da qualcosa che mi si muove dentro e da li poi inizio a definirlo, a capirlo e strutturarlo; mi analizzo e mi interrogo finchè ad un certo punto mi accorgo che le parole si collegano e formano frasi, le frasi esprimono quella che all’inizio era solo una sensazione e a quel punto solitamente riesco a “vedere” ciò che voglio trasmettere; è un processo abbastanza naturale, personale e introspettivo.
Non c’è stato un momento in cui ho deciso di esprimermi attraverso il video, semplicemente è il mezzo che più si avvicina ai miei pensieri, il più affine. In definitiva però il video è proprio l’ultimo passaggio nella realizzazione dei miei progetti, può capitare che passi diversi mesi a scrivere, raccogliere pensieri e sensazioni e poi quando sono pronto mi bastano poche ore per produrre il video.
Quanto la laurea in filosofia ha inciso sul tuo modo di intendere l’arte?
Moltissimo. Tutto il mio corso di laurea era incentrato sulla filosofia estetica, quindi ho imparato ad apprezzare il pensiero di artisti e filosofi (figure che tra l’altro spesso coincidono) e all’importanza del messaggio: ho capito davvero che dietro all’estetica, alla bellezza, al semplice piacere sensoriale che si può provare fruendo di un’opera d’arte (sia essa un quadro, una canzone o un film non importa) si cela un messaggio, una filosofia e un pensiero autonomo e personale dell’autore. In particolare ho seguito un corso che per me è stato illuminante in storia dell’arte contemporanea con la professoressa Borgogelli. Mi è stato di grandissimo aiuto per abbattere quel muro che spesso ci divide dall’arte contemporanea, dalla sua difficile e spesso non intuitiva lettura e dalla sua profonda bellezza.
Quale il messaggio di Home // Oblivion, il tuo ultimo progetto?
Il progetto è partito da una presa di coscienza: la morte è il punto di inizio di un processo irreversibile di obliazione dell’individuo. E se da un lato noi continuiamo a “vivere” nei ricordi delle persone che ci hanno conosciuto, questi ricordi diretti svaniranno con queste persone e noi allora forse vivremo nel racconto indiretto di chi mai ci ha conosciuti di persona ma comunque i confini della nostra persona si faranno via via più incerti fino a scomparire. E questo vale sia per le persone “comuni” che per i personaggi famosi, è solo una questione di tempo: di quanti scrittori, uomini politici, artisti, imprenditori celebri magari duecento anni fa oggi non c’è più traccia? Talvolta penso che se io ritornassi al mondo cento anni dopo essere morto non conoscerei più nessuno, e nessuno saprebbe chi sono o potrebbe condividere con me anche un solo ricordo. Questo significa che noi ci definiamo attivamente come individui solo nel rapporto diretto con gli altri.
In cosa consiste l’errato utilizzo dei media nella contemporaneità?
Di base credo che l’errato utilizzo dei media sia da attribuire ad una scarsa consapevolezza del mezzo stesso. Uno degli errori più comuni è quello di confondere il mondo reale e quello mediato. E questo vale non soltanto per i new media, gli smartphone, i computer o la realtà virtuale, ma anche per qualcosa di obsoleto e apparentemente innocuo come può essere un giornale. Per questo in Home // Oblivion ho deciso di traslare il messaggio dalla morte reale ad una morte apparente: l’incapacità di gestire i mezzi di comunicazione palesata dal soggetto lo trascina in un progressivo stato di isolamento di cui non è consapevole in quanto crede – illudendosi – di essere ancora in contatto con il mondo reale, esterno, quando invece quel contatto è già stato reciso nel momento in cui ha attribuito un errato grado di realtà ai suoi rapporti mediati. Questa condizione inconsapevole lo porta a precipitare in quell’oblio a cui si va incontro solitamente con la morte fisica. Ma se noi ci definiamo individualmente soltanto in rapporto all’altro, interrotto il contatto con l’altro ecco che scompariamo anche noi e la nostra presenza nel mondo.
Cos’è l’oblio per te?
Ho questa immagine in testa: una persona sospesa sul vuoto, sorretta da una rete di cavi, come una ragnatela. Ogni cavo termina dove c’è un’altra persona che conosciamo o abbiamo conosciuto, anch’essa sostenuta da una propria rete. Ci sono collegamenti più forti e altri più deboli e quando qualcuno muore un collegamento viene tagliato di netto – per quanto robusto che sia – ed ecco, arriva il dolore. Ma il tempo cicatrizza le ferite e prima o poi quel cavo penzolante non farà più così male. Ma pensa, pensa ad andare all’altra estremità: dal capo opposto c’è qualcuno a cui hanno tranciato tutti i contatti e che ora sta cadendo a peso morto nel vuoto. Questo è per me l’oblio.
Le tue fonti di ispirazione? Definisci il tuo stile.
Le mie fonti di ispirazioni sono soprattutto letterarie e musicali. Non ho degli autori preferiti, però ho un’inclinazione verso le tematiche assolute che “tormentano” l’uomo dall’inizio dei tempi e che mai si esauriranno. Quando ho iniziato a lavorare ad Home // Oblivion mi ha molto influenzato l’ascolto di Caretaker “An empty bliss beyond this world” e la lettura di “Perturbamento” e “Il soccombente” di Thomas Bernhard. Anche le arti visive come la pittura, la fotografia o il cinema possono talvolta darmi degli spunti ma è più difficile per la natura troppo simile del mezzo che mi limita spesso nella visione dei miei progetti personali.
Prossimi progetti?
In cantiere c’è un progetto a cui sto lavorando da qualche tempo e che ora sta prendendo forma. Il tema sarà il futuro, il titolo: “In a warm place at the back of beyond“.
Concept
La casa è il luogo dove si trova rifugio quando si cerca di allontanarsi, anche solo per un momento, dalla vita sociale, per restare soli con se stessi. In bilico tra la volontà di allontanarsi dal mondo esterno e la ricerca di una forma di contatto mediata con esso, Home // Oblivion mette in evidenza l’incapacità umana di gestire i rapporti con gli altri tramite un uso errato o distorto dei mezzi di comunicazione.
Il soggetto interrompe volontariamente tutti i legami relazionali diretti esistenti e si arrocca in posizione protetta dietro le mura domestiche, precipitando così lentamente e involontariamente verso l’oblio, spettatore passivo di una visione anticipata della propria morte. Analizzare come i mezzi di comunicazione cambiano e hanno cambiato le nostre vite è il tema principale dell’opera. Ho scelto di combinare differenti tecniche girando il video con una camera DSLR digitale e riversandolo diverse volte su un supporto magnetico (VHS per quando riguarda le immagini e musicassetta per l’audio) a sottolineare la mia volontà di abbracciare non soltanto i new media all’interno del mio discorso bensì estendendo il concetto a tutti i mezzi di comunicazione.
La scarsa qualità audio e video per cui i connotati del soggetto svaniscono, i suoni si allontanano e i contorni della realtà lentamente scompaiono, ha lo scopo di rimarcare e palesare l’oblio in cui ognuno di noi prima o poi è condannato a precipitare nel momento della propria morte.
L’angolo di inquadratura cambia, attraverso i quattro capitoli dell’opera, da una posizione sottomessa a una dominante rispetto al soggetto: il movimento rappresenta la lenta caduta della persona nell’oblio. Mentre precipita il soggetto perde il controllo e il potere sul mondo che gli sta attorno, fino a non avere altra possibilità se non giacere immobile, sdraiato, come morto. Questa caduta precoce è causata in parte dall’errato utilizzo dei media (giornali, CD, Computer/TV, New Media): il soggetto è via via sempre più incapace di creare e mantenere un contatto reale con il mondo esterno, sebbene non ne abbia coscienza se non forse nell’ultimo istante di fronte all’abisso.