Leonardo da Vinci. Pittore, scultore, architetto, ingegnere, inventore, urbanista, studioso di anatomia, botanico, astronomo, trattatista e poeta, faro del Rinascimento italiano e simbolo dell’uomo moderno, riconosciuto quale genio universale, la cui mente rimarrà sempre oggetto di meraviglia e ammirazione. Egli ha saputo trarre dallo studio della natura le basi per ogni sapere scientifico, attraverso l’osservazione diretta e la sperimentazione, “madre di ogni certezza“, come affermava l’artista.
Quali i suoi interessi?
Non vi era nulla in natura che non attirasse la sua curiosità: egli esplorò i misteri del corpo umano attraverso la dissezione dei cadaveri, arrivando ad essere uno dei primi a studiare lo sviluppo della nascita del bambino nell’utero materno, studiò le leggi delle onde e delle correnti, trascorse anni ad approfondire lo studio inerente il volo degli uccelli e degli insetti per poter progettare una macchina volante, sicuro, un giorno, di vedere i suoi progetti su carta trasformarsi in realtà.
Le forme delle rocce e delle nuvole, gli effetti dell’atmosfera sui colori degli oggetti ritratti ad una certa distanza, le leggi che governano la nascita degli alberi e delle piante, l’armonia dei suoni, tutti questi furono l’oggetto della sua continua ricerca, fondamento della sua arte.
Secondo Leonardo tutte le scienze si riassumono nella pittura, a detta di Leonardo: “prima fra le arti“, che permette all’uomo di ricreare il mondo ma soprattutto intesa quale attività intellettuale “il maggior discorso mentale“, come affermava l’artista.
“Se il pittore vuole vedere bellezze che lo innamorino, egli ne è signore di generarle“, questo il suo motto.
Il percorso pittorico di Leonardo si snoda lungo l’arco di quasi cinquant’anni sullo sfondo di scenari assai diversi, cui l’artista riesce di volta in volta a farsi interprete. A fronte di un cammino tanto ricco e vario, purtroppo però poche sono le opere portate a termine. Alcune rimasero incompiute, altre non vennero mai consegnate ai committenti, altre restarono in possesso dell’artista che continuò a modificarle fino alla morte. Come affermava il Vasari nelle Vite: “Si accingeva allo studio di molte cose e le iniziava per abbandonarle subito dopo“.
Quali gli esordi dell’artista?
Nato in un paese collinare della Toscana, a Vinci, presso Empoli, il 15 aprile 1452, figlio illegittimo di Ser Piero da Vinci, notaio, e Caterina, fanciulla di umili origini, crescerà nella casa paterna. La sua formazione non ha seguito studi regolari, ma si è svolta attraverso il contatto diretto con il mondo contadino e la splendida natura della Valdarno, da autodidatta.
Grazie alla sua vivace intelligenza e al suo talento per il disegno sviluppatosi molto precocemente, venne mandato dal padre come apprendista presso la bottega del pittore e scultore Verrocchio, a Firenze, una delle botteghe più prestigiose della città. Qui ricevette una formazione eclettica, aperta alle diverse tecniche della pittura, della scultura e delle arti decorative diventando ben presto uno dei giovani artisti più promettenti di Firenze. Il Verrocchio si era attorniato di abili assistenti che intervenivano sulle opere già impostate dal maestro, per questo l’attribuzione di alcune opere risulta controversa. Di questo periodo ricordiamo “Il Battesimo di Cristo“, l’unica opera di mano del Verrocchio in cui sia unanimemente riconosciuta la partecipazione di Leonardo. Secondo l’aneddoto del Vasari, Leonardo vi avrebbe dipinto la figura di un angelo con tale perfezione da indurre il maestro a non porre più mano ai pennelli.
Nel 1482 lascia Firenze diretto presso la corte di Ludovico Sforza detto il Moro, a Milano.
È possibile che la partenza sia avvenuta per iniziativa di Lorenzo il Magnifico che in quegli anni metteva in atto un preciso disegno di egemonia culturale, volto a promuovere la propria immagine attraverso l’esportazione dei migliori talenti in altri centri della penisola. Non si può escludere che sia stato lo stesso Leonardo a ricercare un’occasione per allontanarsi dalla città toscana poiché si sentiva estraneo- da
“omo sanza lettere“, quale lui stesso si definiva, agli indirizzi filosofici e neoplatonici dell’umanesimo fiorentino. Sicuramente l’ambiente culturale milanese, vivace sul versante degli interessi scientifici e matematici dominanti nell’Università pavese, sarà risultato più congeniale al carattere pragmatico di Leonardo. Infatti in una famosa lettera di autoraccomandazione indirizzata al Moro si dilungava sulle proprie competenze di ingegnere militare, enumerando i molti congegni bellici che era in grado di costruire, e solo nelle ultime righe ricordava le sue doti d’artista, architetto, scultore e pittore.
La Lombardia diventa la sua seconda patria. Con la caduta del ducato di Milano, nel 1499, Leonardo torna a Firenze e inizia l’esecuzione della Gioconda.
Cosa rende la Gioconda il più famoso ritratto al mondo?
Un’espressione sfuggente, un mistero ancora irrisolto, uno sguardo magnetico e naturale; questo l’enigma e la bellezza del capolavoro vinciano.
Il ritratto deve la sua fama al carattere di indeterminatezza ed ambiguità che lo pervade. Questo effetto è tecnicamente reso dall’uso dello sfumato leonardesco che lascia indefiniti gli elementi che caratterizzano un volto, gli angoli della bocca e degli occhi. Monna Lisa osserva il fruitore e ci sorride con quel suo sorriso appena percettibile, portandoci a relazionarci con lei. L’emozione che ne deriva è sfuggente, non definita e porta il fruitore a porsi quesiti sul suo stato d’animo. Il tutto avviene in un attimo, come se la donna avesse appena colto la nostra presenza, mostrando l’abilità dell’artista nel saper cogliere e cristallizzare sulla tela il carattere mutevole dell’animo umano. La tecnica dello sfumato permette delicatissimi passaggi di colore e di luce, annulla i contrasti, delinea differenti intensità d’ombra, avvolgendo anche il paesaggio in un’atmosfera impalpabile.
L’artista può curare i dettagli senza però soffermarsi su di essi con lo sguardo analitico dei Fiamminghi. Il sorriso inafferrabile della Gioconda, più evidente ad una visione periferica che centrale, è frutto di un’infinita serie di velature di colore ad olio sovrapposte. Leonardo aveva l’abitudine di eseguire con meticolosa pazienza le sue opere, riservandosi la facoltà di ritoccarle più e più volte nel corso degli anni. L’opera è il tormentato frutto di una lunghissima elaborazione che ci viene narrata dal Vasari.
Mentre veniva ritratta Monna Lisa era allietata da dolci melodie e canti per togliere quel velo di malinconia che spesso si ritrova nei ritratti, dettato dalle lunghe pose. La donna ritratta non è stata identificata con certezza ma rappresenta molto probabilmente Lisa Gherardini, la moglie di Francesco del Giocondo, mercante di seta fiorentino. Egli aveva ordinato il ritratto di sua moglie nel 1503, in occasione dell’acquisto di una nuova casa e della nascita del figlio.
Il carattere magnetico della Gioconda nasce anche dalla sua posa del tutto naturale: busto, testa e braccia, leggermente ruotati, si orientano in diverse direzioni mentre il viso, di tre quarti, si offre all’introspezione psicologica, cara a Leonardo. I tratti del viso sorridenti riflettono inoltre la bellezza e la virtù della donna. La bellezza quale espressione di un carattere virtuoso, ornamento della virtù; questo il pensiero del tempo, che riscontriamo in altre opere leonardesche come il ritratto di Ginevra de’ Benci. La straordinaria qualità pittorica del ritratto si basa sulla meticolosa definizione dei dettagli: un velo vaporoso copre i capelli che ricadono sciolti; l’abito scuro caratterizzato da molti ricami e la sua stoffa che richiama il riflesso della brillantezza naturale. Nel viso e nelle mani le ombreggiature conferiscono plasticità all’insieme, creando un effetto molto suggestivo. La luce bagna il paesaggio; per il volto bisogna immaginare invece una fonte di luce diversa, artificiale, proveniente da un punto anteriore al quadro.
Per quanto riguarda lo sfondo, un parapetto decorato con colonne risolve la transizione con il paesaggio retrostante. Frastagliate catene montuose si perdono in lontananza suggerendo profondità spaziale, il tutto sotto un cielo verde-blu. Sulla sinistra dell’austero paesaggio, privo di vegetazione, riconosciuto quale la Valle dell’Arno, si scorge una strada, sul lato destro il corso di un fiume in secca. Segnato da picchi rocciosi erosi dall’acqua, l’umidità sospesa nell’aria, una luce filtra e muta in base alle condizioni atmosferiche. Questo perpetuo mutamento riassume la visione leonardesca dell’universo e la sua concezione di bellezza, legata all’intimo raccordo tra le cose create. La figura umana risulta infatti in perfetta armonia con l’universo di cui fa parte; ne condivide la mutevolezza ed il mistero.
Quale l’interpretazione dell’opera da parte di Freud?
Nei suoi Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio Freud si sofferma sul misterioso sorriso che l’artista ha evocato sulle labbra di molte sue figure femminili, da S. Anna alla Vergine Maria. Esso è diventato caratteristico del suo stile e per questo definito “leonardesco”. Secondo la sua teoria è probabile che l’artista fosse affascinato dal sorriso di Monna Lisa perché aveva destato in lui qualcosa che da lungo tempo era celato nella sua anima: il sorriso di questa donna richiamava in lui il sorriso ormai perduto della madre Caterina, dalla quale era stato allontanato in tenera età.
Quali le vicissitudini dell’opera?
Leonardo porta la tavola ancora incompiuta a Milano, nel 1506, ed è lecito supporre che l’avesse con sé anche partendo per la Francia, dieci anni dopo. La Gioconda, mai consegnata ai suoi committenti, in quanto impegnato nella decorazione pittorica di Palazzo Vecchio a Firenze, entrerà a far parte delle collezioni reali francesi ed esposta a Fontainebleau, passando poi per Versailles, dove verrà registrata nel 1695. Esposta nella camera da letto di Napoleone nel palazzo Tuleries, l’opera verrà resa visibile ad un pubblico più vasto solo in seguito al suo ingresso nel 1797 al Louvre, da cui venne allontanata per alcuni anni all’inizio dell’Ottocento per essere esposta nell’appartamento di Giuseppina Bonaparte. Ricordiamo la triste vicissitudine del 1911, quando venne rubata da un imbianchino italiano, operaio presso il Louvre, il furto d’arte più famoso della storia. Era stato l’operaio stesso a montare la teca che custodiva il dipinto. Quando decise di architettare il furto gli fu facile entrare nel museo perché sapeva come eludere la sorveglianza. Passò tutta la notte rintanato nello sgabuzzino, poi di buon’ora, smontò la teca, prese il dipinto, lo avvolse nel suo cappotto e uscì indisturbato. Prese perfino un taxi per tornare nella pensione parigina in cui alloggiava, chiuse il dipinto in una valigia che nascose sotto il letto, e lì restò confinato senza destare alcun sospetto per ben 28 mesi.
La Gioconda è stata soggetta a numerosi tentativi di danneggiamento. L’opera di Leonardo passò il suo anno peggiore nel 1956, quando fu prima danneggiata con l’acido e poi colpita con un sasso da un vandalo boliviano.
Quale la bellezza dell’opera leonardesca?
Come disse il Vasari: “Leonardo ha saputo dare il moto e il fiato alle sue figure“, ha saputo dipingere l’uomo con tutte le sue sottili sfumature psicologiche ed emotive, ha saputo dare espressione al suo pensiero e alle sue emozioni e passioni, come espresse l’artista nel suo Trattato della pittura. Con la sua estenuante ricerca sugli stati d’animo, con i suoi sguardi e gesti sfuggenti ed indecifrabili, con la sua morbida gamma cromatica, ci pone di fronte alla misteriosa complessità e bellezza dell’universo e dell’uomo che ne fa parte.