Non ha bisogno di presentazioni il nostro artista. Non è uno di quegli artisti che lasciano il giudizio del fruitore indeciso, Michelangelo si ama o si odia. La sua opera ci cattura in un vortice di passioni.
Faro del Rinascimento, ha saputo meravigliare il mondo intero con le sue opere, definito “uomo divino” da Ludovico Ariosto. Una vita in preda alle passioni, “Mi cibo solo di ciò che mi brucia dentro e mi infiamma”, scriverà l’artista nelle sue poesie, riflettendo così il suo modo di intendere la vita nei suoi capolavori.
Che significato ha l’arte per Michelangelo?
Un mezzo per elevarsi, tramite la contemplazione della bellezza. È al corpo umano, suo soggetto prediletto, che Michelangelo affida il suo messaggio. La bellezza umana è un riflesso della bellezza celeste e la sua contemplazione deve ricondurre l’anima al divino. Quella stessa bellezza che per Leonardo era scrigno di mistero, per Michelangelo diventerà invece principio di tormento e sofferenza.
Tutta l’opera di Michelangelo è intrisa da questa dualità, essenza del suo personaggio. Due forze opposte vivono in lui in eterno conflitto: una brutalità materiale, pagana, ed un idealismo sereno, dato dalla fede della sua anima cristiana. La potenza che sprigiona la sua opera è dettata dall’unione di un’anima platonica in un corpo d’atleta. Quegli stessi corpi maestosi che si contorcono, monumentali, nella volta della Cappella Sistina.
Quali gli esordi dell’artista?
Nato a Caprese, Arezzo, nel 1475, sin dall’infanzia visse in un ambiente permeato d’arte. L’artista era stato infatti a balia dalla moglie di un artigiano, un tagliapietre di Settignano. A scuola, a Firenze, i suoi interessi erano indirizzati esclusivamente al disegno ma inizialmente il padre non tenne in considerazione questa sua inclinazione. Ben presto dovette però cedere e il giovane Michelangelo iniziò a frequentare la bottega del Ghirlandaio con il quale nacquero dei dissapori, in quanto Michelangelo non amava dipingere, lo faceva solo se costretto. Egli non considerava la pittura una vera forma d’arte che giudicava adatta alle donne, considerandola inferiore rispetto alla scultura. Possiamo quindi solo immaginare quale tormento fu per lui portare a termine la decorazione pittorica della cappella Sistina, opera che, ironia della sorte, lo rese universalmente noto.
In seguito decise di proseguire il suo percorso di formazione presso lo studio di Giovanni di Bertoldo, allievo di Donatello, che si occupava delle collezioni d’antichità di Lorenzo de Medici. Quale occasione migliore per approfondire i suoi interessi: la tradizione di Donatello e lo studio dei classici. Suoi ulteriori modelli furono la pittura giottesca, con le sue figure plastiche ed il suo pathos e gli sviluppi successivi di Masaccio. Venne così accolto a palazzo e ben presto ebbe l’opportunità di conoscere umanisti, poeti ed intellettuali del tempo. L’ambiente mediceo, intriso di paganesimo, lasciò il segno nel futuro operato dell’artista.
La decorazione della cappella Sistina. Quale la sua storia?
La commissione gli venne affidata da papa Giulio II, nel 1508. Il lavoro, immenso, consisteva nel ricoprire, tramite la tecnica dell’affresco, una superficie di 1000 metri quadrati, mettendo in scena 300 figure. Opera colossale che occuperà l’artista dal 1508 al 1512, lasciandolo privo di energie. Eppure il loro incontro era iniziato in maniera idilliaca.
L’obiettivo del papa era quello di sfruttare il valore politico dell’arte, secondo la tradizione della Roma imperiale. Convocò così Michelangelo a Roma per realizzare assieme a lui progetti grandiosi, primo tra i quali il mausoleo destinato al pontefice, nella basilica vaticana, composto da più di quaranta statue colossali. Michelangelo, entusiasta, aveva finalmente trovato il progetto che gli avrebbe permesso di mostrare al mondo il suo genio. Partì per Carrara, dove rimase circa otto mesi, tra le cave, per poter scegliere il miglior marmo da destinare all’opera.
Grande fu lo sconforto quando, nel mentre, il Papa, consigliato dal Bramante, rivale invidioso, decise di abbandonare il progetto. Michelangelo in preda all’ira fuggì da Roma rifiutandosi di tornare. Solamente in seguito all’entrata di Giulio II a Bologna, nel 1506, i due si riappacificarono ed il pontefice affidò all’artista una nuova sfida. Sempre sotto consiglio del Bramante, commissionò allo scultore, che dipingeva controvoglia e che non conosceva la tecnica dell’affresco, la decorazione della volta della Cappella Sistina.
Se Michelangelo avesse rifiutato si sarebbe inimicato il pontefice, se avesse accettato non avrebbe retto il confronto con il genio di Raffaello che a quell’epoca iniziava a dipingere le Stanze vaticane. Decise di accettare ma a modo suo: rifiutò le impalcature costruite dal Bramante e l’aiuto di pittori esperti nella tecnica dell’affresco e da solo iniziò la titanica impresa proponendo di dipingere anche le pareti.
Quali le condizioni di lavoro dell’artista?
In un sonetto l’artista descrive umoristicamente la condizione penosa durante il suo operare: sdraiato sulle impalcature in posizioni scomode con il colore che colava in volto. Alcuni disegni affiancano il manoscritto testimoniando la fatica fisica dell’impresa. Inoltre l’artista dovette affrontare il problema delle muffe causate dalla calce troppo ricca d’acqua e più volte pensò di abbandonare l’opera ma il Papa gli inviò l’architetto Giuliano da Sangallo che le eliminò.
Quali i soggetti rappresentati?
Al centro della volta troviamo le Scene della Genesi, in seguito La tentazione, il Peccato originale, il Diluvio. Agli angoli delle cornici venti Ignudi. Poi i Profeti e le Sibille. Sopra le dodici finestre i Precursori e Antenati di Cristo. Infine, ai quattro angoli della volta, la storia del popolo di Dio. Trent’anni dopo il ciclo verrà completato con la parete di fondo, dedicata al Giudizio Universale.
Quali le scene più rappresentative dello stile michelangiolesco?
Nella Creazione di Adamo memorabile la potenza sprigionata da quel gesto, dettato dallo sfioramento di quelle dita che, sole, sono diventate il simbolo dell’intera cappella Sistina. Un Dio solitario, dalla corporatura atletica, che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza. Possiamo leggere tutta la potenza della creazione in quelle due semplici dita che si tendono, una verso l’altra, a infondere spirito e vita. E quegli sguardi, fissi uno nell’altro, a creare una forte connessione di tipo spirituale.
Nella Creazione degli Astri il guizzo repentino del creatore, quasi minaccioso, dallo sguardo concentrato e con la fronte aggrottata a rappresentare la forza della creazione, quasi fosse un atto mentale prima che fisico. Una gestualità concitata e nuovamente quelle dita, che infondono vita agli astri, che paiono roteare con la stessa potenza data dalle mani.
Nella Tentazione il dettaglio del serpente tentatore aggrovigliato sull’albero che ha le sembianze di una donna, retaggio medievale. I corpi femminili sono tanto potenti ed erculei quanto quelli maschili, elemento che desterà non poco scandalo al tempo. Dimenticate le donne esili, dagli sguardi dolci. Con Michelangelo la figura femminile sprigiona la forza di un Titano, diventa una fusione di femminilità e mascolinità nei tratti e nella muscolatura, vere statue viventi, come la madre scultorea nella scena del Diluvio Universale, permeata da un eroismo selvaggio mentre protegge la sua prole. O la Sibilla Delfica, con quel suo guizzo nello sguardo, mirabilmente colto dall’artista, come a catturare dinamicamente l’istante in cui la sua attenzione è rivolta altrove.
Ma l’apice dell’energia e del pathos vengono espressi nella parete del Giudizio Universale. Qui, complice uno spazio ampio, l’artista rappresenta le passioni umane, i suoi tormenti, le sue sofferenze. Tutto chiama Dio, tutto lo teme, tutto lo grida. Se non si vuole lasciarsi sopraffare da questa forza bruta, l’unica via è abbandonarvisi, lasciare ogni resistenza, come anime dantesche trascinate altrove. Questo inferno fu l’anima stessa dell’artista, animata da passioni contrastanti oltre che la rappresentazione del naufragio di una civiltà, di un’umanità tormentata che ha visto crollare le proprie certezze morali e che attende nel terrore la fine dei tempi.
Tutto questo turbinio di corpi aggrovigliati pare di primo acchito non avere un ordine: lo spazio, infatti, non è costruito secondo i canoni della prospettiva tradizionale ma osservando meglio si può capire come il doppio movimento di anime che scendono verso l’inferno e che salgono verso il paradiso è in realtà dettato dal gesto di Cristo che con una mano spinge simbolicamente le anime verso il basso e con l’altra le eleva verso l’alto.
Un Cristo imberbe e giovane, in piedi, che per nulla ricorda l’iconografia tradizionale. Un Cristo che scandalizzò il sentire comune affiancato dalla Vergine che quasi si ritrae di fronte a tanta sofferenza.
Emblematica all’interno del Giudizio Universale, la figura di S. Pietro, imponente e dallo sguardo minaccioso, che porge a Cristo due enormi chiavi, simboli del potere attribuito ai Papi di legare e sciogliere gli uomini dal peccato. Sotto Cristo troviamo S. Lorenzo sulla graticola, in ricordo del suo martirio e S. Bartolomeo con la pelle che gli venne strappata a rappresentare un autoritratto drammatico di Michelangelo ed il suo sentire nei confronti del peccato e del bisogno di salvezza spirituale. Inoltre catturano la nostra attenzione le braccia vigorose di S. Caterina mentre sostiene la ruota dentata del suo martirio.
La bellezza dei corpi nudi a testimoniare la gloria degli eletti. Quando lo sguardo si volge verso il basso ecco comparire l’orrore delle anime dannate trascinate verso l’abisso ricordando le descrizioni dantesche che Michelangelo conosceva a memoria. La dannazione viene rappresentata in particolare da Minosse, avvolto da una serpe e da due demoni, che soffre un tormento interiore, lo stesso dell’artista: disperazione, rimorsi e terrore di un annullamento fisico e spirituale.
L’artista decise di dare a costui le sembianze di Biagio da Cesena, cerimoniere del Papa, il quale aveva osato affermare che quell’opera non era adatta ad una cappella papale ma ad un luogo di perdizione, considerato il numero di nudi che mostravano senza ritegno le loro parti intime.
Le accuse di oscenità fecero pesare sull’affresco la minaccia della distruzione. Papa Paolo IV decise di far dipingere da Daniele da Volterra- detto il Braghettone- dei pudici mutandoni a ricoprire le nudità. Bisognerà attendere Giovanni Paolo II affinché il Giudizio Universale restaurato venga definito “il santuario della teologia del corpo umano“.
La morte e la paura albergano in questi copri così ammassati da creare un malessere soffocante. In basso, Caronte, sulla sua imbarcazione, batte con il remo i dannati urlanti che si accalcano mentre i demoni si prendono gioco di loro. Un accumulo di collera, vendetta ed odio. Mentre, dall’altro lato, le anime si elevano dai cadaveri stesi al suolo al suono vigoroso degli angeli tubicini.
Quale il contesto di riferimento dell’arte di Michelangelo?
Ci troviamo nel secondo Rinascimento, il Cinquecento, che vede il Vasari distinguere fra tre diverse maniere o fasi stilistiche dell’arte italiana. Nelle Vite ricondurrà il Cinquecento all’interno della terza fase o Maniera Moderna, avviata da Leonardo da Vinci, grazie alla quale si è potuto raggiungere un perfetto equilibrio tra raffigurazione naturalistica ed i moti dell’animo.
È questa l’epoca dei grandi geni: Leonardo, Raffaello, Michelangelo, che hanno rappresentato l’ideale umanistico dell’artista universale, competente in tutte le discipline tecniche e dotato di conoscenze teoriche tali da condurlo ad esiti di insuperata perfezione.
In seguito a queste nuove conoscenze muterà anche il ruolo dell’artista nella società, da artigiano ad intellettuale. Grazie al Rinascimento, che vede le proprie origini nel Quattrocento a Firenze, i grandi valori della cultura classica tornano a rivivere in un contesto nuovo, un contesto in cui si afferma l’uomo nuovo, che ha ora un ruolo centrale e che vive secondo le regole del libero arbitrio. In un contesto di equilibrio economico anche l’arte può fiorire, ridente. La nascita delle Signorie farà sviluppare il mecenatismo artistico poi sviluppato anche dal ceto borghese e, nel Cinquecento, dal mecenatismo papale a Roma. L’arte quindi intesa quale simbolo di potere.
Di estrema importanza lo sviluppo degli studi dedicati alla prospettiva, come la definiva Panofsky una “forma simbolica”: uno strumento per affermare l’ordine di un mondo regolato dall’uomo, per applicare alla composizione pittorica i principi di misura, logica razionale e armonia, alla base del pensiero rinascimentale.
Quale la fine dell’immenso capolavoro?
Il Papa incalzava continuamente l’artista per il termine dei lavori così Michelangelo affermò che la fretta del Papa non permise la conclusione così come avrebbe voluto. L’opera venne terminata nel 1512, ad ottobre venne aperta al pubblico, sancendo la fama internazionale del grande genio. Ironia della sorte, quattro mesi più tardi, Giulio II morì.
Colui che aveva punito Michelangelo obbligandolo a dipingere invece che scolpire, fu punito a sua volta non potendo godere del capolavoro che aveva commissionato. Per quanto riguarda l’artista, invece, nel 1564 si spense all’età di 89 anni, colpito dalla febbre, dopo aver lavorato a lungo alla sua Pietà e venne seppellito a Firenze, la sua città, secondo il volere dell’artista, nella sacrestia di S. Croce.
Quale l’insegnamento dell’arte di Michelangelo?
Michelangelo ci insegna ad amare l’uomo, l’umanità, in tutte le sue imperfezioni; ci insegna ad amare quella particolare bellezza potente ed estatica che nasce dal tormento, dalla sofferenza dell’anima, quello stesso tormento che può redimere e salvare.